Elsa Schiaparelli

Vuole la leggenda che a Parigi, nei primi anni 20 del secolo scorso, una giovane donna in compagnia di un’amica sia entrata un giorno nell’atelier di un grande sarto. L’amica, molto facoltosa, chiese di provare alcuni vestiti, poi si appartò in un camerino con un’assistente per indossarli. La giovane donna rimasta sola gironzolava nel grande salone delle sfilate osservando gli abiti appesi alle grucce, o posati sui manichini. La sua attenzione fu attratta da un cappotto in velluto nero foderato in azzurro. Il cappotto, lungo, era animato da vivaci fiocchi e la donna non seppe resistere alla tentazione. Lo indossò e stette qualche minuto a pavoneggiarsi davanti a un grande specchio. La sorprese la voce di un uomo.

“Perché non lo compra?”
La giovane donna guardò l’uomo, corpulento, con la barba ben curata, e lo riconobbe. L’aveva visto a Le Boeuf sur le Toit quando con gli amici Francis Picabia, Picasso, Jean Cocteau e Man Ray si fermava a bere, ai tavolini che occupavano tutto il largo marciapiedi davanti al locale, un Pastis o un cognac. Lui, Paul Poiret, il più celebre couturier di Parigi, sempre accompagnato dalla bellissima moglie e circondato da una corte di artisti, non passava sera che non offrisse magnanimamente bottiglie di champagne a allegre compagnie che incontrava casualmente nel locale.
“Suo marito sarà felice di avere al fianco una donna tanto bella e elegante.” La giovane donna inarcò un sopracciglio e si guardò di nuovo allo specchio. Sapeva di non essere bella, il volto lungo, angoloso, e sapeva anche che Paul Poiret era conosciuto come un grande adulatore, ma certamente sarebbe stata elegante con quel cappotto. Il marito, poi, un uomo che aveva sposato poco prima della guerra, perennemente in crisi, instabile, alla continua ricerca, negli altri, della sicurezza che gli mancava, lo aveva perso in America. Un giorno, poco dopo la nascita di Yvonne, l’adorata figlia che lei aveva messo al mondo in condizioni difficilissime e che chiamava amorevolmente Gogo, l’uomo era uscito di casa e non aveva più trovato la strada del ritorno. Qualcuno le aveva detto che ora faceva coppia con la ballerina Isadora Duncan.

“Non ho marito, monsieur, e non posso permettermi un capo di abbigliamento tanto costoso. E poi non sono bella.”
“Ogni donna è bella quanto sente di esserlo. In ogni caso, non le ho ancora detto il prezzo.” La guardò meglio. “Noi ci siamo già incontrati. L’ho vista in compagnia di Man Ray, cosa fa in questo momento il nostro amico?”
“Sta girando un film.” Fece il gesto di gettare in aria un oggetto. “Getta la macchina da presa in aria, e così gira un film.”
Paul Poiret rise forte. Le trovate dell’amico artista lo divertivano sempre. “Posso chiederle il nome?”
La giovane donna fece per togliersi il cappotto. “Mi chiamo Elsa. Elsa Schiaparelli, e sono italiana.”
Il couturier la fermò con una mano. “Non se lo tolga, per favore. Il cappotto è suo, è un mio modesto regalo.”
Elsa si rimirò nello specchio. “Non è per niente modesto, non posso accettarlo.”
“Perché no!!! E comunque, alla condizione che quando ci incontriamo a Le Boeuf sur le Toit lei beva una coppa di champagne insieme a me.”

Era nata così l’amicizia tra Elsa Schiaparelli e Paul Poiret. A quel tempo Elsa era una donna con notevoli problemi finanziari. Figlia di anziani genitori della borghesia romana, annoverava tra i suoi parenti un illustre egittologo, un astronomo di fama mondiale e uno studioso dei costumi e della lingua araba. Apparteneva a quella classe privilegiata la cui formazione culturale avviene in modo naturale fin dall’infanzia ascoltando i grandi parlare tra loro. In giovane età, Elsa aveva scritto anche un libro di poesie, Arethusa, che più che turbare il pubblico, preoccupò la famiglia per quel che i versi dicevano o sottintendevano, e da quel momento tutti i parenti si diedero da fare per trovarle marito. Ricerca non semplice, dato che Elsa, testarda e sensibile, voleva fare sempre di testa sua. S’innamorò di un conte squattrinato e lo sposò contro il volere di tutti: un colpo di fulmine che le costò anni di delusioni e un viaggio in America nel 1919, a New York, dove il marito ben presto si dileguò lasciandola in gravi condizioni economiche con la figlia. Proprio a New York, mentre cercava un lavoro, entrò in contatto con alcuni artisti tra cui Marcel Duchamp e Man Ray che reincontrò più tardi a Parigi dove si trasferì definitivamente dopo una turbolenta relazione con un tenore italiano morto per meningite folgorante.

C’è chi matura una passione coltivata fin dalla giovane età, applicandosi in uno studio e un esercizio spesso duro e costante per raggiungere gli obiettivi prefissati, e chi capita in talune situazioni senza alcun bagaglio di esperienza specifica, ma con uno straordinario talento e una incontenibile potenzialità creativa bruciando in pochissimo tempo quelle tappe che altri hanno conquistato con fatica. Osservando l’ambiente che frequentava -i Futuristi più radicali, i Dadaisti, i Surrealisti- si poteva ipotizzare che Elsa sarebbe diventata una di loro, non tanto perché sapesse dipingere (spesso per esprimersi in questi settori dell’arte non occorreva essere pittori o scultori), ma perché quella sembrava la naturale conseguenza al suo trasporto artistico. Nessuno, invece, poteva immaginare che la sua potenzialità si sarebbe espressa nella creazione di abiti. Per la verità, anni dopo, Schiap ricusò il termine “artista” attribuitole. “Per quanto mi riguarda, due parole sono proibite: artistico e impossibile” aveva ripetuto più volte.
Fu comunque l’incontro con Paul Poiret che diede la stura a tanta creatività. A incoraggiare Elsa fu la certezza del couturier di trovarsi di fronte a un personaggio fuori dall’ordinario, che un po’ gli somigliava.

Elsa -“Schiap” come la chiamavano gli amici, e con questo diminutivo un po’ snob divenne famosa- portò nel mondo della moda l’impossibile, osando ciò che nessuno aveva mai avuto l’audacia di pensare, applicando quelle teorie surrealiste o dadaiste che nei primi anni del secolo avevano sconvolto l’arte figurativa. Ogni oggetto, affermavano gli artisti di quei movimenti, può assumere valenza artistica se, tolto dal contesto abituale dove svolge una funzione pratica, viene posto in un ambiente che ne privilegia il valore estetico. Una scarpa, quindi, può trasformarsi in elegante cappellino se alla calzatura viene tolta la funzione protettrice del piede per farla divenire oggetto ornamentale; così come articoli di giornale, stampati su stoffa, diventano decorazioni per abiti, la borsetta, poi, può assumere la divertente forma di un apparecchio telefonico con tanto di disco dei numeri, un calamaio, con penna d’oca che intinge la punta nell’inchiostro, può essere un piacevole copricapo. Addirittura lo strappo sul vestito da sera, se evidenziato come elemento inconsueto e consapevole, è decorativo.
Elsa, forse perché non vantava una militanza nel mondo dei couturiers e di conseguenza non essendo legata a consuetudini, fu la ventata innovatrice che da una parte fece gridare allo scandalo e dall’altra venne accolta come la vera rivoluzionaria della moda negli anni precedenti la seconda guerra mondiale.

“Schiap” e “Coco” Chanel furono amiche a denti stretti, pronte a pungolarsi, consapevoli del valore l’una dell’altra e rassegnandosi al fatto che la loro clientela non aveva scrupoli nel mostrarsi indifferentemente vestita prima Chanel e poi Schiap o viceversa. E’ noto come Coco non nominasse mai la rivale, definendola tout court “l’italiana che fa vestiti” e non mancasse mai di dare una stoccata, in pubblico, alla sua creatività (della quale era comunque cosciente). Quando Elsa fece decorare il suo appartamento da Jean-Michel Franck, famoso arredatore d’interni, con opere, tra l’altro, di Salvador Dalí e dei fratelli Giacometti, Coco, invitata all’inaugurazione, non esitò a sbandierare ai quattro venti che l’appartamento, più che un luogo per viverci, era “…da rabbrividire, come stare in un cimitero”. Eppure quella rivalità fruttava a entrambe articoli sui giornali, comunicati nelle cronache mondane, pettegolezzi: insomma, pubblicità. Se Coco compariva a un ricevimento, subito si cercava tra gli invitati Schiap, e se non la si trovava erano congetture a non finire su come le due primedonne valutassero la serata. Ufficialmente i giornali rosa dividevano i loro amici. Se Picasso si incontrava con Chanel, era perché aveva litigato con Schiap, e se Stravinsky sorrideva a Schiap era perché non sopportava più le bizze di Coco. In effetti, la loro rivalità era dettata solo dalla concorrenza, come due commercianti con lo stesso prodotto che aprono il negozio nella medesima strada. Per il resto, alimentavano questa competizione con la consapevolezza che essere sulla bocca di tutti “rendeva” in promozione. Il giro di amicizie era lo stesso, si incrociava, si perdeva e si ritrovava: era il Tout Paris che amava stare con due spiriti così diversi e singolari. Christian Bérard disegnò bigiotteria per Elsa e per Coco; Jean Cocteau, al quale Chanel aveva pagato la cura disintossicante dall’oppio, ideò ricami per Elsa.

Gli anni più creativi -e quindi di maggiore successo- di Schiap furono quelli tra il 1930 e il 1940. Aveva iniziato con un negozio in Rue de la Paix dove vendeva abiti sportivi, un’idea derivatale dall’abbigliamento delle donne americane che amavano vestire comodo, e americane furono le sue prime clienti, tra cui le attrici Katharine Hepburn, Joan Crawford e Greta Garbo. Nel 1933, quando Elsa disegnò un abito da sera in crêpe de Chine bianco e una giacca da frac con le falde incrociate sul dietro, anche i francesi la scoprirono facendola entrare a tutti i diritti nella ristretta cerchia dell’Haute Couture.
Fu con i profumi, però, che Elsa Schiaparelli raggiunse il più vasto pubblico. Nel 1937 diede i natali a Shocking, un’essenza contenuta in un flacone a forma di busto femminile (le forme erano quelle di Mae West, la star di Hollywood) che accoppiò a un colore: il rosa shocking, usato da Elsa anche per le tinte dei rossetti, per le mantelline degli abiti e le guarnizioni. Nel 1938 fu la volta di Sleeping, con flacone a forma di candela, e poi Snuff, del 1939, profumo per uomo con flacone a forma di pipa. E’ del 1945 Le Roy Soleil, con il flacone disegnato da Salvador Dalí. Zut fu creato nel 1948 e Sì è del 1957, quando la Casa di Moda aveva già cessato di esistere. Elsa si ritirò nel 1954 quando Coco Chanel, dopo una lontananza da Parigi durata quindici anni, ritornava sulle passerelle.
Elsa Schiaparelli non cedette mai diritti e licenze sui suoi profumi, e questo le fece guadagnare moltissimo fino alla sua scomparsa nel 1973.